Quarto passo: Gesù è spogliato delle sue vesti
“Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa “luogo del cranio”, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. E sedutisi, gli facevano la guardia.” (Mt. 27, 33-36)
I soldati romani fanno il loro lavoro: hanno spinto Gesù verso il Calvario, fuori da Gerusalemme; lo hanno massacrato di botte, incitati da una folla abbrutita e senza memoria. Arrivati in cima al Gòlgota, prima di inchiodarlo alla Croce, gli strappano di dosso il mantello e gli levano la tunica, lasciandolo nudo, sotto gli occhi di tutti.
Quella tunica che sua madre gli aveva preparato con premura e affetto: “una tunica senza cuciture”, dice l’evangelista!
Gesù, per essere simile all’uomo, già si era spogliato della sua divinità; ora viene spogliato anche della tunica, dell’ultima difesa della sua dignità di uomo.
Perché tutto questo dolore?
Come non pensare alla parabola di Gesù, quella detta “del buon Samaritano”: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, quando s’imbatté nei briganti che lo spogliarono dei suoi vestiti e lo picchiarono; poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.” (Lc 10,30).
Sembra la cronaca di quanto sta accadendo a Gesù; ma è anche il racconto di quello che è accaduto all’uomo! Ecco, Gesù è uscito da Gerusalemme, si è lasciato picchiare, si è lasciato spogliare, per percorrere esattamente la nostra strada, per essere certo di incontrarci lì dove noi ci siamo perduti: per essere con noi, per essere come noi.
Perché la somiglianza è la misura dell’amore.
JERUSALEM
Ritornello
Jerusalem lontana, io sono nato in te;
Jerusalem amata, ritornerò da te. (bis).
1. Città del Signore, Jerusalem,
in terra d’esilio, piangendo,
ricordo le dolci tue strade
dorate di sole e di gente.
2. Città di profeti, Jerusalem,
di Re tormentati dal Verbo,
di bimbi che avevano mani
aperte a promesse e speranze.
Rit.
Jerusalem lontana, io sono nato in te;
Jerusalem amata, ritornerò da te. (bis).
3. Non c’è che deserto, Jerusalem,
e sogno il tuo tenero abbraccio,
rimpiango le antiche tue mura,
le case che salgono al Tempio.
4. Se mai ti scordassi, Jerusalem,
che il cuore diventi di pietra,
la lingua dimentichi il canto:
se mai mi scordassi di te.
Rit.
Jerusalem lontana, io sono nato in te;
Jerusalem amata, ritornerò da te. (bis).